giovedì 17 marzo 2022

TARI ridotta se il servizio non è regolare


La Corte di Cassazione con l’ordinanza 5940 del 23 febbraio 2022 conferma, seppur in un ambito ben delineato, un principio elementare quanto difficilmente attuabile in presenza di servizi pubblici: non deve essere pagato il servizio non svolto o prestato solo parzialmente.
In particolare l’ordinanza della Suprema Corte si riferisce alla riduzione della TARI se il servizio di raccolta dei rifiuti sia stato svolto in modo irregolare, anche in mancanza di una deliberazione sull’agevolazione da parte dell’amministrazione comunale. Il contribuente avrà il solo onere di allegare, dedurre e provare la sussistenza dei presupposti per beneficiare di una maggiore riduzione con la possibilità di graduare ulteriormente la percentuale di riduzione applicabile considerando l’ubicazione dei locali o delle aree oggetto di tassazione all’interno della zona e la distanza dal più vicino punto di raccolta, “in assenza di una richiesta specifica in tal senso o di una prova specifica dei presupposti per applicare la ulteriore graduazione, resta fermo che la riduzione dovrà essere applicata nella misura prevista dalla norma, e che quindi la TARI sarà dovuta in misura pari al 40% della tariffa intera applicabile”. 
Un principio importante in questa decisione è che la riduzione tariffaria non è determinabile come risarcimento del danno per la mancata o parziale raccolta dei rifiuti e nemmeno come sanzione per l’amministrazione comunale inadempiente, ma considerando “i costi che il cittadino è tenuto presumibilmente a sostenere per far fronte alla mancata raccolta, laddove il Comune non assicuri in un ambito territoriale della zona perimetrata l’intero ciclo di smaltimento, ma lo garantisca solo in parte”. Il legislatore, con l’art. 1 della legge 147 del 2013, ha ritenuto che nelle aree dove il servizio di raccolta dei rifiuti non sia effettuato, a prescindere dalle ragioni, il tributo possa essere preteso nella misura massima del 40% della tariffa ordinaria con la possibilità di graduare la percentuale proporzionalmente alla distanza dal punto di raccolta più vicino.

lunedì 14 marzo 2022

Smart working: quale futuro dopo la fine dell'emergenza?


La fine dello stato di emergenza dovuta alla pandemia prevista per il prossimo 31 marzo si accompagna alla conclusione dell’esperienza del lavoro agile con tutte le facilitazioni previste e adottate proprio in risposta alla crisi endemica. A disciplinare questa modalità di prestazione dell’attività lavorativa tornerà ad essere la legge 81/2017, anche se bisognerà fronteggiare uno scenario imprevisto: il gradimento che ha riscontrato lo smart working. Per potervi ricorrere, dal 1° aprile sarà necessario per il datore di lavoro firmare, con ogni singolo dipendente interessato, degli accordi individuali che dovranno definirne durata e modalità di svolgimento, con particolare attenzione ai controlli e alla frequenza soprattutto in tema di diritto alla disconnessione, cioè il diritto del lavoratore a un periodo minimo, nell’arco della giornata, in cui potersi disconnettere. Un emendamento alla legge di conversione del decreto Sostegni ter prevede che l’accordo individuale non dovrà essere più allegato alla comunicazione obbligatoria prevista sul sito del Ministero del Lavoro: l’unico adempimento previsto, infatti, sarà la comunicazione dei nominativi dei lavoratori e la data di inizio e cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile, senza alcun allegato dell’accordo individuale. Detta semplificazione strutturale, sarà operativa solo dopo la pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale, della richiamata legge di conversione e l’emanazione di un decreto ministeriale con le modalità attuative semplificate.

giovedì 10 marzo 2022

La tassa annuale per la vidimazione dei libri sociali

 

Nell'era della digitalizzazione spinta, degli NFT e delle criptovalute, fa quasi sorridere l'esistenza di una tassa annuale sui libri sociali o meglio, come la definisce l'Agenzia delle entrate, una tassa annuale sulle concessioni governative per la numerazione e bollatura di libri e registri contabili che ogni anno le società di capitali, comprese quelle consortili, devono versare anche se poste in liquidazione. Non tutti i libri devono essere vidimati, sono esclusi infatti i libri contabili previsti dal codice civile, libro giornale e degli inventari, e quelli previsti dalla normativa fiscale, esempio registri IVA e dei beni ammortizzabili, che devono solo essere numerati progressivamente dal soggetto obbligato alla tenuta. La vidimazione iniziale è quindi prevista solo per i libri sociali obbligatori che devono essere numerati e bollati presso il Registro Imprese della Camera di Commercio o presso un notaio. L'importo della tassa può ammontare a € 309,87 o a € 516,46 a seconda che il capitale sociale al 1° gennaio dell'anno per il quale il versamento è eseguito sia inferiore o meno a € 516.456,90. Nell'anno di inizio attività, e prima della presentazione della dichiarazione di inizio attività ai fini IVA, il versamento deve essere effettuato utilizzando il bollettino di c/c postale n. 6007 intestato a: AGENZIA DELLE ENTRATE - CENTRO OPERATIVO DI PESCARA - BOLLATURA NUMERAZIONE LIBRI SOCIALI; negli anni successivi, entro il 16 marzo di ciascun anno, presentando F24 esclusivamente in modalità telematica, con il codice tributo "7085 - Tassa annuale vidimazione libri sociali", indicando, oltre all’importo, il periodo di riferimento. ATTENZIONE alle sanzioni che possono variare dal 100 al 200% della tassa stessa e che in ogni caso non possono essere inferiori a € 103. 

mercoledì 9 marzo 2022

Una settimana... e poi sarà saldo IVA

16 marzo... e poi sarà giorno di versamento del saldo IVA da dichiarazione annuale, qualora il debito sia maggiore di € 10,33. L'importo potrà essere versato in un'unica soluzione o a rate, in numero massimo di 9 e con maggiorazione incrementale mensile, applicata a partire dalla seconda rata, dello 0,33%. La dichiarazione IVA 2022 deve essere presentata entro il 30 aprile 2022 con possibilità per il contribuente di versare il relativo saldo entro i termini previsti per il pagamento derivante dalla dichiarazione dei redditi applicando una maggiorazione dello 0,40% per ogni mese o frazione a partire dal 16 marzo 2022. L'eventuale importo del credito annuale che dovesse emergere dalla dichiarazione IVA potrà essere utilizzato in compensazione a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione stessa.

venerdì 4 marzo 2022

Società Benefit: cosa sono, chi può diventarlo

Nell’anno del Covid ha iniziato a diffondersi un nuovo modello di società introdotto nel panorama aziendale italiano solo nel 2016. I numeri sono ancora molto esigui, ad aprile lo avevano adottato solo 926 imprese, ma nell’ultimo anno sono raddoppiati e i tassi di crescita sono costanti. Parliamo delle società benefit.

Cosa sono le società benefit

Introdotte dalla legge di Bilancio 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, cc 376-384), le società benefit sono quelle che «nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse». Tutte finalità che devono essere indicate specificatamente nell’oggetto sociale e che sono perseguite realizzando una gestione che pone in essere un equilibrio tra l’interesse dei soci e quello di coloro sui quali impatta l’attività sociale anche indirettamente.

Chi può assumere la qualifica di società benefit

Possono assumere la qualifica di società benefit, tutte le società disciplinate nel libro V, titolo V e VI del codice civile e quindi tutte le società di persone (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice) e di capitali (società a responsabilità limitata, società per azioni e società in accomandita per azioni), le cooperative e le mutue assicuratrici. Sono comprese anche le srl semplificate, le quali, nonostante abbiano un atto costitutivo tipizzato che non prevede tale qualifica, possono assumerla con un successivo atto di modifica dello stesso.

La società benefit può costituirsi ex novo, con le medesime modalità previste per le diverse società, oppure a seguito di trasformazione di società già esistente, modificando opportunamente l’atto costitutivo e/o lo statuto.

Al riguardo è da segnalare il primo esperimento in Italia di adozione della società benefit per uno studio professionale: Freebly, che come riporta il sito della società: «è un modello innovativo di studio legale, che eroga un servizio di massima qualità e si distingue sul mercato per competenza e seniority dei suoi professionisti, che operano nel rispetto di solidi parametri di Business Ethics».

Perché le società benefit si distinguono dalle B-Corp 

Spesso si tende a sovrapporre il modello delle società benefit con la definizione di B-Corp. In realtà, però, quest’ultima espressione rappresenta una qualsiasi società che abbia ricevuto una certificazione dalla B-Lab, un ente non profit di origine americana, ma ormai sviluppato in tutto il mondo: in Europa è presente come B-Lab Europe, con sede ad Amsterdam, e in Italia gestisce, tramite la propria branch europea e con l’Assobenefit, un sito dedicato (www.societàbenefit.net). 

Per ottenere la certificazione B-Lab è necessario seguire alcuni step che sono ben illustrati sul sito dello stesso ente e che possono essere così sintetizzati: 

1. calcolare il valore che l’azienda crea per la società: allo scopo si può usare il B Impact Assessment https://bimpactassessment.net/bcorporation, ossia uno tra i più conosciuti standard di valutazione esterno, totalmente gratuito;

2. totalizzare un punteggio di almeno 80 su 200 punti;

3. validare il proprio risultato con B-Lab, divenendo così una B-Corp. 

Obblighi comunicativi e informativi

La società benefit deve, quindi, essere amministrata in modo da bilanciare l’interesse dei soci con le finalità di beneficio comune, inoltre al suo interno devono essere individuati uno o più responsabili a cui affidare funzioni e compiti per la realizzazione del proprio scopo. Ogni anno, poi, deve essere redatta una relazione, da allegare al bilancio, che illustra:

la descrizione degli obiettivi, delle modalità e delle azioni realizzate dagli amministratori per il raggiungimento delle finalità di beneficio comune o delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato;

la valutazione dell’impatto generato;

una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo.

La valutazione dell’impatto consiste nel valutare cosa genera il perseguimento delle finalità di beneficio comune. Affinché sia garantita l’attendibilità della valutazione questa dovrà essere eseguita utilizzando standard di valutazione esterni (GRI Standards, il Sustainability Index Dow Jones, l’ISO 26000, il B Impact Assessment) che pongano al centro dell’analisi:

il governo d’impresa, quindi il grado di trasparenza e di responsabilità nel perseguimento delle finalità di beneficio comune;

i lavoratori, per valutarne le retribuzioni, le opportunità di crescita e la formazione professionale, la sicurezza sul lavoro, i processi di comunicazione interni, la qualità dell’ambiente di lavoro;

le relazioni con gli altri stakeholder, in particolare con i fornitori, con il territorio e le comunità locali e ogni altra azione di supporto allo sviluppo locale e alla supply chain;

l’ambiente, per valutare gli impatti della società, con particolare riferimento al ciclo di vita dei prodotti e dei servizi soprattutto per quanto riguarda l’uso di risorse, di materie prime, di processi produttivi, logistici e distributivi.

Oltre a essere allegata al bilancio, la relazione deve essere pubblicata nel sito internet della società, se esistente.

L’organismo preposto alla verifica del raggiungimento del beneficio comune è l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che può irrogare alle società benefit sanzioni in materia di pubblicità ingannevole e di violazione delle norme del codice di consumo. Le sanzioni previste vanno dalla semplice ammenda alla chiusura, temporanea o definitiva, dell’attività.

Lo stesso collegio sindacale, considerato il suo ruolo di verifica del rispetto della legge e dello Statuto, deve esaminare e valutare anche la relazione di impatto, così come previsto per tutte le altre informative annuali, in particolare dovrà esprimere un giudizio sull’operato degli amministratori in funzione del raggiungimento dell’equilibrio tra ricerca del profitto e scopi sociali.