Tra i 36.000
e i 45.000 euro… questa l’oscillazione nei primi 20 giorni del mese di febbraio
del valore di un Bitcoin: un range che consente facilmente di
comprendere l’interesse, l’importanza e la cautela con cui gli investitori si
approcciano al mondo delle criptovalute. Secondo l'indice composito elaborato
dalla società ChainAnalysis, un’azienda che si occupa di analizzare i
dati delle blockchain, tra la fine del 2019 e la metà del 2021
l'utilizzo di valute digitali è aumentato di 25 volte (+2500%), con
un'esplosione decisa a partire dall’inizio di quest’anno.
Una
crescita che ha interessato anche il nostro Paese e che viene monitorata
dall’Amministrazione Fiscale, che si è interrogata sulla natura dei redditi che
ne derivano anche se non sempre è stata in grado di fornire risposte coerenti e
adeguate.
Le
criptovalute: cosa sono, come funzionano, cosa si rischia
Il termine criptovaluta
è rivelatore del suo stesso significato che è quello di valuta nascosta perché
visibile, e quindi utilizzabile, solo se si è in possesso delle chiavi di
accesso pubblica e privata. Le valute virtuali, infatti, non hanno natura
fisica, ma digitale, sono create e utilizzate attraverso dispositivi
elettronici e conservate in portafogli elettronici chiamati wallet.
Sono liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle
necessarie credenziali, in qualsiasi momento senza bisogno dell’intervento di
terzi. Il wallet si configura come una coppia di chiavi crittografiche
di cui la chiave pubblica, comunicata agli altri utenti, rappresenta
l’indirizzo a cui associare la titolarità delle valute virtuali ricevute, mentre
quella privata, mantenuta segreta per garantire la sicurezza delle valute
associate, consente il trasferimento ad altri portafogli.
L’emissione
e il funzionamento delle criptovalute è regolato pertanto da codici
crittografici e da complessi calcoli algoritmici.
In
particolare, i Bitcoin sono generati da algoritmi matematici tramite un
processo di mining, che consiste nella creazione di monete virtuali
tramite un duro lavoro informatico che sfrutta la capacità di calcolo dei
computer, mentre lo scambio dei predetti codici criptati tra gli utenti (user),
operatori sia economici che privati, avviene per mezzo di software specifici
come BitMinter. Quindi, si può entrare in possesso di Bitcoin:
- – a seguito di estrazione;
- – acquistandoli da altri soggetti in cambio di valuta
legale;
- – accettandoli come corrispettivo per la vendita di
beni o servizi.
Si rendono
necessarie due precisazioni a questa premessa tecnica: le criptovalute sono
prive di corso legale nella quasi totalità dei mercati finanziari mondiali, con
la conseguenza e la necessità che il loro scambio avvenga su base volontaria; la
mancata regolamentazione da parte di enti centrali governativi ha come
conseguenza che siano controllate secondo le regole proprie del soggetto stesso
che le emette.
Il corretto
funzionamento di un sistema di criptovalute deve presentare alcune
caratteristiche imprescindibili:
- ·
la presenza di un protocollo, cioè di un codice informatico che detta le regole
a cui i partecipanti devono attenersi per procedere con lo scambio;
- ·
un distributed ledger o blockchain, una sorta di libro mastro che può
memorizzare le transazioni tra le parti in modo sicuro, verificabile e
permanente;
- ·
una rete
decentralizzata di partecipanti il cui compito è quello di aggiornare,
conservare e consultare il libro mastro secondo le regole definite dal
protocollo.
La richiesta di caratteristiche basiche elementari
postula che chiunque dotato delle giuste conoscenze informatiche può creare o
distribuire una valuta digitale, magari ricorrendo a una initial coin offering, una raccolta fondi per finanziare un progetto
imprenditoriale che ha caratteristiche simili all’equity crowfunding, ma
richiede l’emissione di un coin o token digitale che di fatto
sostituisce gli strumenti finanziari tradizionali.
Una volta emesse, le criptovalute sono
negoziate su piattaforme di scambio, le exchange platform, contro moneta
avente corso legale, seppur con il limite di non essere regolamentate e con la
conseguenza di definire percorsi non delineati in caso di contenzioso.
La mancata regolamentazione, che potrebbe
rappresentare il punto di forza delle valute digitali consentendone una
maggiore velocità ed efficienza nei pagamenti e nelle rimesse internazionali,
finisce per rappresentarne il limite più evidente anche perché queste
piattaforme non hanno obbligo alcuno in tema di garanzia di qualità del
servizio, di possesso di requisiti patrimoniali definiti o di procedure
standardizzate di controllo interno e di gestione del rischio, con la
conseguenza di esporsi notevolmente alle influenze del cosiddetto cybercrime.
Il
profilo fiscale
Un primo tentativo di definire la natura fiscale
delle criptovalute si è avuto con la sentenza della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea a chiusura della causa C-264/14, che si è pronunciata in
via pregiudiziale sul trattamento ai fini IVA da riservare all’attività, di una
società svedese, di exchanger tra Bitcoin e valute con corso legale. Le
negoziazioni avvenivano su una piattaforma online e consentivano alla società
di lucrare sulla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita. I
Giudici Europei hanno dapprima constatato che l’attività descritta rientrasse
nella definizione di prestazione di servizi a titolo oneroso e hanno poi
affrontato il tema della riconducibilità della stessa a una delle fattispecie
di esenzione ex articolo 135, par. 1, lett. d)-f), della Direttiva
2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto,
giungendo alla conclusione di far rientrare le valute digitali nella categoria
di esenzione relativa alle «divise, banconote e monete con valore
liberatorio» perché, pur mancando il requisito del «valore liberatorio»,
che identifica le sole valute aventi corso legale che possono essere utilizzate
come contropartita di un’obbligazione pecuniaria senza possibilità per la
controparte di rifiutarne il pagamento, «è pacifico che la valuta virtuale
Bitcoin non abbia altre finalità oltre a quella di mezzo di pagamento e che
essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori».
L’Agenzia delle entrate affronta per la prima volta il
tema delle monete virtuali con la risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016: rispondendo
a un interpello di una società che intendeva svolgere per conto della propria
clientela operazioni di compravendita di Bitcoin e che era interessata a
conoscere il corretto trattamento applicabile a tali operazioni ai fini Iva e
delle imposte dirette, l’Agenzia richiama la sentenza summenzionata confermando
l’esenzione ai fini dell’imposta indiretta dell’operazione stessa, mentre ai
fini di quella diretta il ricavo conseguente, rientrando a pieno titolo tra
quelli caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione, contribuisce
alla «formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione
ai fini Ires e Irap». A fine esercizio, le rimanenze di Bitcoin si
valuteranno secondo il cambio in vigore alla data di chiusura del periodo che
assumerà rilievo ai fini fiscali come valore normale.
Per le persone fisiche che detengono la valuta
digitale al di fuori dell’attività d’impresa la risoluzione richiama le
operazioni a pronti di valuta che non generano redditi imponibili essendo prive
di finalità speculativa e di conseguenza, ed era uno dei quesiti posti in sede
di interpello, non si ravvisa in capo alla stessa società alcun adempimento
come sostituto d’imposta.
Successivamente, con risposta all’istanza di
interpello n. 956-39/2018 del 19 aprile 2018 alla sua Direzione Regionale della
Lombardia, l’Agenzia delle entrate ha continuato a perseguire la strada dell’assimilazione
alle valute estere. Come diretta conseguenza le cessioni a pronti di valuta
virtuale possono dar luogo a plusvalenze, imponibili come redditi diversi, se,
la valuta ceduta, derivi da prelievi di un wallet la cui giacenza media
superi un controvalore di € 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi
continui nel periodo d’imposta.
Ai fini della determinazione di un’eventuale
plusvalenza derivante dal prelievo dal wallet, che abbia superato la
predetta giacenza media, si deve utilizzare il costo di acquisto considerando
cedute per prime le valute acquisite in data più recente (metodo LIFO).
Tali plusvalenze, se realizzate da un soggetto
persona fisica al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, devono essere
indicate nel quadro RT del Modello Redditi – Persone Fisiche e sono soggette a
imposta sostitutiva del 26%.
Sempre nella succitata risposta, per la prima volta
l’Agenzia affronta il tema dell’indicazione della detenzione di valuta digitale
nel quadro RW «poiché alle valute virtuali si rendono applicabili i principi
generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali
nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio, si ritiene che anche le
valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il citato
quadro RW, indicando alla colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14
– “Altre attività estere di natura finanziaria”. Il controvalore in euro della
valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere
determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha
acquistato la valuta virtuale». Tra i chiarimenti forniti dall’Agenzia si evidenzia,
infine, che le valute virtuali non sono assoggettate all’IVAFE.
È necessario sottolineare che il TAR Lazio, con la
sentenza 27 gennaio 2020, n. 1077, si è pronunciato a favore della linea
interpretativa dell’Agenzia ribadendo che i soggetti titolari di valute
virtuali sono obbligati a indicare le stesse nel quadro RW del Modello Redditi
per il combinato disposto degli articoli 1 e 4 del DL 167/1990 che ha
assoggettato al monitoraggio fiscale anche le movimentazioni da o verso
l’estero di valuta virtuale.
Per ultimo, con la risposta n. 788/2021 del 24
novembre 2021, l’Agenzia delle entrate ritiene che tutte le valute virtuali detenute
debbano essere indicate nel quadro RW, anche quelle di cui si detenga
direttamente la chiave privata.
Le novità in vista
L’articolo 4 del decreto del Ministero dell’Economia e della Finanza del 13 gennaio 2022 con finalità di antiriciclaggio ha stabilito che entro il prossimo 2 giugno dovrà essere avviata la gestione della sezione speciale del registro degli operatori in criptovalute a cura dell’apposito organismo. In particolare i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e i prestatori di servizi di portafoglio digitale saranno obbligati a identificare l’identità del cliente/titolare effettivo dello stesso; conservare dati, documenti e le informazioni alle quali si è fatto ricorso per garantire l’adeguata verifica; segnalare eventuali operazioni sospette.
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